L'obiettivo non è l'obbedienza

L'obiettivo della genitorialità che abbiamo scelto è la fiducia.

Lezione
4 min
L'obbedienza non è l'obiettivo della genitorialità: a lungo termine ciò che conta è che ci sia fiducia reciproca con i nostri figli, ma se siamo focalizzati sul farci ascoltare ciecamente non possiamo nutrire la fiducia, perché la fiducia richiede metodi ben diversi da quelli che dobbiamo usare per farci ascoltare. L'obbedienza richiede urlare, incutere timore e punire; la fiducia richiede offrire calma, validare le emozioni e nutrire la collaborazione.

Quando penso all'obbedienza penso a una relazione di sottomissione: un cane è obbediente, un essere umano deve essere critico, imparare a esprimere il disaccordo e far sentire la sua voce per ciò che non gli sembra giusto.

Se cresciamo i bambini con l’immagine dell’obbedienza cieca all’autorità, con la classica mentalità «in casa mia, fai ciò che dico io» (che è ciò che succede nell'educazione tradizionale)‚ oggi l’autorità sono io, genitore, e io nonostante tutto voglio il bene dei miei figli; ma domani l’autorità è il professore all’università che fa l’ingiustizia o il capo in ufficio che usa la sua posizione per ottenere ciò che vuole. A quelle persone probabilmente il bene dei miei figli non interessa e per allora io vorrò aver dato loro gli strumenti per affrontare questi abusi di potere.

Ecco perché non voglio che i miei bambini imparino ad obbedire ciecamente alle autorità, me compresa perché io sono la loro palestra, e scelgo di nutrire la loro mente critica: quando mi dimostrano a parole o con comportamenti che una mia regola, un limite che ho stabilito io, è sbagliato o che loro sono già troppo grandi per quel limite, non do per scontato di avere ragione, disattivo il mio ego e mi fermo a riflettere sul perché trovino sbagliato il mio limite. 

Ti faccio un esempio:
Un giorno Emily e Oliver hanno scalato un albero che io gli avevo detto di non scalare: invece di sgridarli e punirli e dire «ve l'ho detto mille volte!», mi sono fermata e ho riflettuto sul perché non mi avessero ascoltata. Questo mi ha permesso di notare che effettivamente erano saliti e scesi da soli: ora erano capaci e quel mio limite non era più necessario. Ovviamente, però, non erano in grado di comunicarmelo e dirmi «mamma, io scalo l'albero perché ora sono capace», lo avevano fatto e basta, perché si sentivano capaci. Sono quindi andata da loro e gli ho detto: «Mi fate vedere come scalate?» e ho impostato nuovi limiti, più utili. Per esempio: «Prima di mettere tutto il peso su un ramo, mettine un pochino e verifica» oppure «abbi sempre tre punti di appiglio». E poi ho accettato che avrebbero potuto cadere, perché sbagliare fa parte dell'esplorazione. Dopo anni di alberi scalati, sono bravissimi e sono caduti solo una volta a testa, senza gravi danni per fortuna. E al matrimonio di mia sorella, quando tutti gli amici degli sposi hanno scalato una grande quercia e i miei figli mi hanno chiesto se potevano andare con loro, ho detto «Certo, ricordatevi di avere sempre tre punti di appiglio». Hanno un ricordo meraviglioso di quel giorno e in quel momento mi sono detta: pensa se quel giorno avessi agito secondo la mentalità dell'obbedienza e non avessi rispettato il loro sentirsi sicuri…
Cambiare la mentalità dell'obbedienza nel nostro tipo di educazione ha portato a una relazione di fiducia reciproca, ha nutrito la familiarità con l'errore, ha eliminato la necessità di bugie e ha sviluppato resilienza e mente critica: è stato un percorso in salita, ma già oggi io e Alex ne vediamo tutti i meravigliosi risultati. Ma soprattutto la mentalità della fiducia reciproca ha portato ha fatto sì che oggi apprezziamo al massimo i nostri figli e loro noi genitori. 

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